Quando parliamo di giovani e dei comportamenti a rischio ci riferiamo a tanti aspetti della loro vita: per esempio ai comportamenti che assumono quando si relazionano a scuola con i compagni e con gli insegnanti oppure ai comportamenti che hanno quando si collegano in rete, chattano o sono sui social network, ma anche quando devono scegliere un gruppo amicale a cui appartenere.
Il confine tra rischio e sicurezza è strettamente in relazione con il concetto che i giovani hanno di se stessi, con il modo in cui prendono consapevolezza delle proprie risorse personali e come riescono a interpretarle e utilizzarle per migliorare i rapporti con gli altri.
Per tale motivo le azioni che si realizzano a favore dei giovani, della loro sicurezza in generale, dovrebbero farsi carico e trattare i fattori psicosociali che sono alla base dei comportamenti a rischio. Per capirlo meglio basta pensare a come in una situazione di pericolo le emozioni che si provano possono compromettere, spesso, una decisione comportamentale “razionale”.
Sappiamo, per esempio, ormai da molto tempo, che l’informazione sui pericoli delle droghe, dell’alcool o del tabacco sono spesso poco utili per tenere lontani i giovani dai pericoli. Già Freud spiegava che chi adotta un comportamento che può rivelarsi pericoloso, non agisce solo per ignoranza del pericolo che corre ma prova, al contrario, un godimento che va “al di là del principio del piacere”.
La famiglia e la scuola sono contesti entro cui i giovani possono conoscere e sperimentare vissuti, preoccupazioni e condividere sogni e desideri, comprendere le difficoltà di doversi imbattere in sempre nuove regole di convivenza. Ma gli adulti devono essere preparati a capirli, devono, cioè essere in grado di fornire loro gli strumenti utili per diventare autonomi, per fronteggiare le situazioni e le difficoltà.
La ricerca di autonomia e indipendenza che attraversa tutte le fasi della vita di una persona – ma che sfocia in modo prorompente nel periodo chiamato adolescenza – porta con sé comportamenti a volte discordanti e difficili da capire sia dagli stessi adolescenti sia dalle persone che sono intorno a loro. Se un adulto non riesce a comprendere i meccanismi psicologici che si creano in un giovane nel momento in cui si comporta in modo apparentemente poco comprensibile, rischia di rispondere in modo non appropriato, amplificando ancora di più il problema.
Faccio un esempio prendendo in considerazione una ricerca sul benessere scolastico che ho condotto nel 2013 per la Regione Umbria e Ecipa Umbria, la quale ha evidenziato che i giovani di età compresa tra i 14 e i 18 anni (campione preso come riferimento) si presentavano agli insegnanti e, in generale, agli adulti come persone che chiedevano autonomia e indipendenza ma allo stesso tempo “un aiuto” per fare scelte adeguate. Questa ambivalenza “autonomia – ricerca di aiuto” veniva esplicitata in due modi: la prima era legata alla richiesta di una presenza di un adulto forte, autoritario (comandare, imporre, penalizzare, punire, ammonire etc.) che allo stesso tempo però sentivano anche oppressivo e quindi si opponevano ad esso. Se da una parte gli studenti si “ribellavano” ad un tipo di relazione basata sul potere, dall’altra non riuscivano a trovare un’alternativa, come se “l’essere comandati” da un adulto fornisse loro quella sicurezza che non trovavano ancora in loro stessi.
“Rompere”, “imporre”, “trasgredire”, sono sintomi di emozioni profonde, frequenti in quei giovani che ancora sono alla ricerca di una vera autonomia e hanno bisogno di capire meglio la realtà che li circonda. Le categorie emozionali, individuate nella ricerca sopra citata, hanno dato la possibilità agli insegnanti di trovare strategie per aiutare i giovani a trovare la strada giusta da percorrere, superando barriere e ostacoli e prevenendo, così, comportamenti dannosi per il proprio benessere. È importante che la scuola, ad esempio, in questo caso specifico, IN ACCORDO CON LA FAMIGLIA, proponga un modello di relazione funzionale al raggiungimento degli obiettivi formativi e di vita, insegnando così forme alternative di relazioni. Se la scuola si riconosce il mandato sociale di accuparsi di “sicurezza in generale e in se stessi”, allora è anche importante che offra agli studenti spazi di confronto e di riflessione, di condivisione di esperienze di vita.
La comprensione di tali processi emozionali consente alle Istituzioni e agli educatori di trovare strategie adeguate per prevenire efficacemente comportamenti a rischio e per non adottare esclusivamente azioni restrittive e/o punitive.
Bibliografia:
S. Freud, Al di là del principio del piacere, in Opere, a cura di C. Musatti, Boringhieri, Torino 1977.
S. Fadda, R. Meniconcini, Comportamenti a rischio nei giovani. Costruire una cultura della sicurezza come strategia per la riduzione dei comportamenti a rischio. Ordine degli Psicologi della Regione Umbria, Perugia 2006.
Per approfondimenti sulla ricerca citata nel testo